Fausto Settimi: quando il miele incontra il Carso.

«Il Carso è una terra povera che se rispettata fino in fondo è in grado di regalare prodotti di qualità che non hanno niente da invidiare ad altri ben più famosi». Fausto Settimi fa l’apicoltore da oltre trent’anni in Carso a Trebiciano. Il suo territorio di origine lo conosce molto bene, sia nelle sue eccellenze che nelle sue particolari problematiche.

La sua storia è quella di un decano dell’agricoltura in Carso e per questo Trieste.Green ha voluto diffondere la sua voce.  «Ma non si può pensare che in Carso la vita rurale sia così redditizia», avverte Settimi prima di iniziare la chiacchierata. «Il nostro lato migliore, dal punto di vista agricolo e naturale, emerge nella qualità, e non nel bisogno estremo di produrre grandi quantità».

Cosa rappresenta il Carso per Fausto Settimi?

«Io e mia moglie Maria ripetiamo sempre una frase a chi vuole capire il modus operandi che sta alla base dell’attività apiaria nostrana: la terra del Carso, più essa è avara, tanto più preziosi sono i suoi prodotti. Il nostro territorio è composto da centinaia di storie diverse, da quelle che affondano le radici nei tempi antichi a quelle relativamente recenti legate allo sviluppo delle produzioni vitivinicole, agricole, o della stessa attività per produrre il miele. Anche sul Carso il clima è cambiato ed oggi abbiamo, a causa della globalizzazione, malattie che infestano le arnie e compromettono l’esistenza delle api. 

Il nostro territorio è unico sotto svariati punti di vista: pensate ad esempio al fenomeno dell’abbandono dei pascoli e dei terreni più in generale. Questa terra si è rinverdita e gli acquazzoni estivi ai quali ormai ci stiamo abituando, un tempo non si palesavano così spesso come invece accade oggidì. Per questo e per tanti altri motivi, anche l’attività di apicoltura soffre più di quanto succedeva quando ho iniziato a lavorare con le api».

Photo credits: Giovanni Aiello

Quando ha iniziato e come è cambiato il mondo dell’apicoltura in Carso?

«Sono partito senza sapere quasi nulla del mondo delle api: avevo un bidone e 350 mila lire. Non conoscevo il comportamento dell’impollinatore per eccellenza e mi sono messo a studiare: ho comprato libri, sono andato a lezione all’università di Udine, ho iniziato a mettere in fila le conoscenza che via via acquisivo sui banchi al servizio della pratica. Sul cambiamento subito dal settore, direi che i grandi disastri ambientali del pianeta causati dall’uomo hanno spinto problematiche che prima non conoscevamo. Un tempo in Carso si coltivava di più e anche gli allevamenti erano curati in maniera diversa. Negli anni del Secondo dopoguerra, molti abitanti sono stati attratti dalle sirene del mondo dell’industria, che pagava di più di quanto pagasse la terra e faceva lavorare di meno. Così moltissimi terreni sono stati abbandonati e lì giacciono ancora oggi. Un’altra spada di Damocle che penzola sul Carso è l’aumento delle malattie. La Varroa, ad esempio, è una di quelle che hanno investito anche il nostro territorio, provocando delle tragedie ambientali fuori controllo».

Ci spiega cos’è?

«La Varroa è una malattia che attacca le api ed è stata, diciamo così, importata dal sudest asiatico ed in particolare dall’Indonesia. A causa della globalizzazione e dell’aumento esponenziale dei traffici commerciali, questa malattia che prima era endemica solo di quell’area del mondo, ora è praticamente dappertutto, Carso incluso. Tra la fine degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, è stata registrata anche a Gorizia e da lì si è diffusa praticamente ovunque. Questa malattia, assieme a molte altre, causa dei danni senza precedenti alle arnie e alle sue popolazioni. Nascono deformi, senza ali, molto più leggere e meno inclini al lavoro: un vero dramma per gli apicoltori».

Cosa si può fare per risolvere questo problema?

«Si può fare ricerca e soprattutto reinvestire grandi risorse sul territorio. Malgrado gli sforzi già fatti, il problema, ahimè, persiste. Gli stessi soldi che vengono spesi ed investiti per risolvere le criticità del settore vitivinicolo, dovrebbero essere messe in campo anche per le api. Senza questo il futuro non può essere che oscuro».

Il miele del Carso: ce lo spiega?

«Non esiste un miele unico in questo territorio. Vi sono numerose specie vegetali che, con il contributo fondamentale delle api, danno un miele fantastico. Quello di cui io e mia moglie andiamo più fieri – e che ha ricevuto riconoscimenti ed apprezzamenti a livello nazionale, fino ad essere premiato nel 2017 come il miele più importante d’Italia – è quello di ciliegio canino, vale a dire quella pianta che nella zona dell’Adriatico orientale, viene chiamata marasca (e dal quale, per citare un esempio che oltrepassa i confini carsici, la famiglia Luxardo da Zara produce il celebre liquore maraschino nda). Vi sono il miele d’acacia, il millefiori e molti altri: ognuno ha le sue particolari qualità ed è differente poi se ragioniamo in termini di nomadismo apistico oppure no. Io, ad esempio, non lo pratico ed il mio miele proviene da arnie stanziali. Altri invece lo fanno, ottenendo buoni risultati ma anche “danneggiando” le attività locali».

Photo Credits: Giovanni Aiello

A cosa si riferisce?

«Negli ultimi periodi in Carso assistiamo all’arrivo, in determinate stagioni, di decine di arnie che provengono dal Friuli. Intendiamoci, non ho assolutamente niente contro quella terra meravigliosa, ma quando ci si ritrova dal giorno alla notte con arnie posizionate a qualche centinaio di metri dalle tue, allora capisce anche lei che si entra in una sorta di competizione capace di creare malumori sia tra gli apicoltori locali che tra i “nomadi”. In Carso ormai succede ma evidentemente, nonostante sia un problema legato alla stessa produzione finale dei singoli, la legislazione lo permette. Sa quanti fiori ci vogliono per fare un chilogrammo di miele? Circa tra i sette e gli otto milioni. Per fare un chilo di miele di acacia avrei bisogno di un bosco, non so se mi sono spiegato».

Quanti apicoltori lavorano in provincia di Trieste?

«Siamo all’incirca un’ottantina, tra quelli che producono quantità rilevanti e chi invece predilige la qualità. Questo è il dibattito che provoca il cortocircuito: la qualità è sempre vincente e la mole di miele non è sostenibile, diciamocelo. Sa cosa chiedono i clienti? Quanti chili fa e a quanto lo vende, queste sono le domande che ti senti rivolgere molto spesso. Tutto il lavoro che c’è dietro all’attività di apicoltura sembra svanire sotto le richieste del mercato che non comprende fino in fondo che un’apicoltura di qualità sul Carso è possibile, ma che non può sopportare uno sfruttamento indiscriminato. Per riuscire a trasmettere tutto ciò, bisogna iniziare prima a capire la Natura che ci circonda e poi le api».

Qual è il futuro dell’apicoltura in Carso?

«Io credo che nessuno di noi nutra veramente il bisogno di finire nella rete della certificazione biologica e delle sue ostentazioni: su questo territorio non esiste, e mai esisterà, un’attività di carattere intensivo, non si può fare e non può sopravvivere. Questo territorio è povero e un sistema intensivo finirebbe per stuprare letteralmente il Carso. Qui non c’è bisogno di chiedere certificazioni biologiche proprio per questo: tra officinali meravigliose ed una terra unica nel suo genere, tutto quello che produciamo è già di per sé meraviglioso. Non occorre aggiungere nulla al prodotto attuale».

Che consiglio darebbe a chi volesse intraprendere questa carriera?

«L’unica cosa fondamentale per poter avvicinarsi a questa attività è essere capaci di comprendere la Natura e starle vicini. Il cambiamento climatico è rapido ed ormai in atto da molto tempo. Gli animali, e noi ne siamo parte, sono spie di tutto ciò che sta irrimediabilmente cambiando: le api sono le sentinelle del mondo animale e vegetale. Da qui bisogna partire, tutto il resto conta poco».

COME INCONTRARE IL MIELE DEL CARSO DI FAUSTO SETTIMI

L’apicoltura stanziale di Fausto Settimi e sua moglie nasce oltre 30 anni fa in quel di Trebiciano. Da quella volta, il miele che producono sul Carso (in particolar modo quello di marasca, vale a dire il ciliegio canino ndr) è stato premiato più volte con riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale. Il punto vendita si trova al numero civico 274 della Strada Provinciale 1, in località Trebiciano (in provincia di Trieste). Per informazioni telefonare al numero 040 2158246. 

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