Il Carso possiede una dimensione geologica che gli altri territori non hanno: il sottosuolo. Non è un caso se i Comuni carsolini di Slovenia e Italia si stanno adoperando, con la Regione Friuli Venezia Giulia, per far diventare il Carso un Geoparco, cioè un luogo di valorizzazione di caratteristiche geologiche uniche. Nelle passeggiate lungo i sentieri carsici una delle costanti è quella di imbattersi, anche per caso, in una delle centinaia di grotte, anfratti e cavità che contraddistinguono l’area alle spalle di Trieste. La maggior parte di esse sono naturali, ma non mancano anche quelle artificiali e collegate a scavi minerari, o a progetti nel campo idrico di passata memoria. Gli attori principali dell’avventurarsi sottoterra sono gli esponenti della gloriosa scuola speleologica giuliana, assieme a quella piemontese tra le prime a veder la luce nel territorio della penisola italiana già nell’Ottocento. In una sorta di cortocircuito dei desideri esplorativi, il fenomeno speleologico triestino si affianca al mondo dell’alpinismo, quasi a certificare un connubio tra il sopra e sotto, tra il cielo e gli inferi.
All’interno di questo contesto si è scritto tantissimo e numerose sono le pubblicazioni in materia di grotte. Da quelle utilizzate durante la Grande guerra come punto di raccolta della truppa nelle retrovie, alle cavità che vengono raggiunte dalle piene del fiume Timavo (il corso d’acqua sotterraneo di cui abbiamo più volte parlato), fino ai lunghi e profondi cunicoli dell’acquedotto teresiano nel rione di San Giovanni, tutte fanno parte di un unico e vasto groviera che fa respirare la terra, fondendosi grazie alla presenza dell’aria e dell’acqua. Per questo motivo, stilare una tanto semplice quanto banale classifica delle cinque grotte più belle dove respirare l’esperienza speleo non è un’operazione esaustiva e sarebbe, per molte ragioni, manchevole. Tuttavia, grazie ai preziosi suggerimenti di Marco Restaino della Società Adriatica di Speleologia dei molti riferimenti diffusi dalla Commissione Grotte Eugenio Boegan (Società Alpina delle Giulie) siamo riusciti a creare questa lista – che comunque va implementata, come al solito, grazie alla curiosità dell’attento visitatore.
Abisso di Trebiciano (località Trebiciano)
La storia di questa grotta si lega a doppio filo con quella della Società Adriatica di Speleologia che nel corso della sua esistenza ha dedicato ingenti risorse economiche al sito ed è gestore dell’antro dal 1974. Luogo da dove sono partite le prime ricerche del mondo sotterraneo, questo abisso ha rappresentato per moltissimo tempo le speranze per un approvvigionamento idrico della città di Trieste. Considerata per poco meno di un secolo come l’abisso più profondo al mondo, la sua percorribilità interna è stata migliorata grazie all’infaticabile lavoro degli speleologi della SAS rendendola uno dei più interessanti laboratori ipogei di tutto il pianeta.
Questa grotta, oltre al legame con la SAS, possiede un inquilino che abbiamo già imparato a conoscere e che risponde al nome di Timavo. Il fiume che nasce alle pendici del monte Snežnik (in territorio croato), percorre decine di chilometri sottoterra ed uno dei siti dove poterlo ammirare durante il suo corso è proprio il fondo dell’abisso di Trebiciano, a ben 329 metri sotto il livello della superficie terrestre. Proprio per la sua particolare conformazione, la visita alla grotta è riservata solamente a speleologi esperti e sempre previo appuntamento, nella prima domenica del mese. Le domande devono essere inoltrate proprio alla Società Adriatica di Speleologia.
Grotta Noè (comune di Duino Aurisina)
La voragine di accesso è maestosa e la sua grandiosità venne scoperta proprio dal filologo Enrico Noè che per primo vi discese nel lontano 1878. Alla cosiddetta “libera campana” di circa 60 metri si aggiungono una serie di cavità particolarmente interessanti ma che, a causa della frequenza delle visite (in certi periodi può essere considerato un luogo decisamente affollato) le formazioni calcitiche non si trovano più, come assenti sono alcune stalagmiti che ad oggi si possono ammirare solamente nelle foto dell’epoca. Conosciuta a tal punto da essere stata ritratta in moltissime pubblicazioni e riviste specializzate, la Noè possiede anche un triste primato, legato ai vari incidenti – alcuni dei quali mortali – che si sono verificati al suo interno. Secondo quanto riportato di recente dal Catasto grotte del Friuli Venezia Giulia, all’interno della grotta è stato scoperto un “piccolo foro che ha permesso di accedere ad un nuovo ramo che viene quasi ad essere una cavità a sé stante. Il ramo è inizialmente costituito da un cunicolo di una quindicina di metri che nella parte centrale risulta essere molto basso e fangoso. Successivamente la cavità si sviluppa su due livelli: quello superiore costituito da due cavernette sovrastate da qualche alto camino, quello inferiore formato da un corridoio che torna indietro verso il pozzo d’accesso ma che, probabilmente per poco, non sbocca sullo stesso”. Questa meravigliosa cavità rappresenta con ogni probabilità ciò che resta di un grande sistema sotterraneo scavato da un fiume carsico. Insomma, una sorta di relitto risalente a milioni di anni fa.
Grotta Skilan (località Basovizza)
“La Skilan non è una grotta ma la grotta”. Le parole sono della Società Alpina delle Giulie che saltuariamente organizza alcune visite guidate al suo interno. Con quasi sette chilometri di sviluppo complessivo, la grotta intitolata alla memoria dell’esploratore Claudio Skilan (che nel 1990 la scoprì assieme a Giorgio Nikon) rappresenta la più profonda di tutto il territorio carsico, toccando i 378 metri sotto la superficie terrestre. Le sale che si aprono al visitatore sono enormi ed alcuni pozzi profondi collegano i numerosi livelli delle sue gallerie.
Per la SAG, la Skilan raccoglie tutto ciò che “si può trovare in un ambiente ipogeo. Pozzi, gallerie, saloni, concrezioni di ogni forma e colore affascinano il visitatore ad ogni angolo. Eccentriche, fiori di cristallo, pozze d’acqua limpida ornate da delicati merletti calcarei, drappi cristallini trasparenti adornano gli ambienti peraltro imponenti e severi”. Tra tutti gli elementi mozzafiato, quello che più di ogni altro affascina lo speleologo è la parte in cui si formano le cosiddette “stelle di cristallo”. Un vero e proprio tesoro composto da “cento, mille, infinite gocce d’acqua, cristallizzate in un’esplosione di struggente bellezza”.
Grotta Gigante (Borgo Grotta)
Nonostante questa grotta veda le visite non solo di speleologi ma anche di semplici turisti, la Gigante val bene una tappa. L’eccezionalità di quest’antro è data proprio dalla sua grandezza, una sorta di patrimonio dell’umanità in tema di mondi sotterranei. La sala naturale di 114 metri è la più grande al mondo ed i calcoli eseguiti nel corso della sua storia hanno portato gli studiosi – e le guide – ad affermare che al suo interno potrebbe contenere, senza particolari criticità, l’intera cupola della basilica di San Pietro in Roma.
La sua storia inizia nel lontano 1840 quando Anton Lindner (un ingegnere ed esploratore che cercava il corso del fiume Timavo sul Carso triestino) si imbatté in questa grotta. La possibilità di visitarla venne data dal Club Touristi Triestini che, per vicende raccontate bene da Livio Sirovich nel suo libro-inchiesta sull’ alpinismo triestino “Cime irredente”, la gestì fino alla fine della Prima guerra mondiale, quando venne acquistata dalla Società Alpina delle Giulie.
Al suo interno vengono svolte anche attività didattiche e sono molti i riferimenti agli attori che l’hanno amata. Il nuovo percorso di risalita, realizzato nel 1997, è stato ad esempio dedicato a Carlo Finocchiaro, presidente per moltissimi anni della Commissione Grotte Eugenio Boegan e, come riporta lo stesso sito ufficiale della cavità, “figura di spicco nel mondo della speleologia internazionale”. Ogni 6 gennaio, in occasione dell’Epifania, sono decine gli speleologi che si calano dalla sommità fino sul fondo della grotta per portare i doni (l’evento richiama la presenza della befana, o dei re magi, che creder si voglia) ai più piccoli. Oltre ad essere punto di riferimento turistico nella zona di Trieste, la grotta Gigante rappresenta a pieno titolo un sito di ricerca scientifica. Tra stazioni metereologiche, studi universitari, presenza del CNR e molto altro, è qui che sono conservati i pendoli geodetici più lunghi del mondo che vengono utilizzati, tra le altre cose, anche nel lavoro di monitoraggio relativo ai movimenti tettonici delle placche fino ai terremoti. Insomma, un luogo assolutamente da non perdere.
Grotta di Padriciano
Sulle pareti dell’antro 12, come comunemente viene chiamata la grotta di Padriciano, si trovano centinaia di iscrizioni risalenti all’epoca in cui iniziarono le esplorazioni. Nel corso dell’Ottocento fu una delle prime grotte aperte ad una sorta di turismo ante litteram e la sua fama cominciò a circolare grazie ad alcuni personaggi che hanno legato il loro nome a quello della grotta. La diffusione delle prime notizie sulla 12 iniziò già nei primi anni del XIX secolo quando dalla Baviera giunsero il professor e botanico Hoppe, ed il farmacista Hornschuk. Arrivarono sul Carso per dare vita ad alcune esplorazioni botaniche e, come spesso accadeva in quegli anni, si imbatterono in qualcosa che non avevano programmato. Il diario di viaggio in lingua tedesca venne pubblicato nel 1818 a Regensburg.
Da quanto si apprende dagli ambienti speleologici triestini, la prima “visita” di cui si ha memoria storica risalirebbe al 1806, esattamente 215 anni fa. La data è giunta fino a noi grazie ad una delle già menzionate iscrizioni che riporta la data 1806. La grotta sembra essere conosciuta fin dal 1805, visto che il conte Girolamo Agapito la descrive nel suo “Descrizione storico pittoriche di pubblici passeggi suburbani dell’escursioni campestri di notabili ville e giardini privati di piccoli viaggi di diporto sul mare ne’ contorni di Trieste”. Il libro venne pubblicato nel 1826 e cita espressamente che “fra Basovizza e il Monte – Spaccato fin dal 1805 si è scoperta una nuova spaziosa grotta ricca delle più variate produzioni stalattitiche, nella quale si può senza nessuna difficoltà penetrare per buon tratto, ma che venendo coi soccorsi dell’arte resa sicuramente praticabile in tutta la sua estensione, accrescerebbe il numero delle meraviglie della natura che si possono vedere nelle nostre vicinanze”.
I primi allargamenti delle strettoie ed alcuni scavi vennero iniziati da tale Josef Eggenhöffner, austriaco gestore della locanda Hundsberg al Boschetto (il bosco al Cacciatore tra i rioni di San Giovanni e Cattinara), luogo dove nell’Ottocento solevano sostare studiosi e ricercatori. Furono moltissimi gli appassionati che nel corso della sua lunghissima storia visitarono la grotta di Padriciano. Da francesi giunti qui con le occupazioni napoleoniche, fino al Lindner (che ritroviamo praticamente in ogni antro del Carso) e a quell’Eugenio Boegan a cui è intitolata la Commissione Grotte. L’accesso alla grotta, che ha una profondità di 242 metri per uno sviluppo complessivo di oltre 740 metri, è attualmente chiuso da un cancello. Il terreno è gestito dalla Società Alpina delle Giulie.
Le centinaia di meraviglie sotterranee
Alle spalle di Trieste il Carso regala la possibilità di scoprire centinaia di grotte anche poco conosciute. La loro storia, come gli esempi degli antri nella zona del monte Hermada (ne abbiamo parlato in questo articolo), può essere legata al periodo della Grande guerra, oppure ad altri episodi del passato e, ancora, al corso del fiume Timavo (come nella zona di Col, a due passi da Repen). Per riuscire ad ottenere un quadro complessivo ed avvicinarsi ai loro aspetti esaustivi, esistono alcuni riferimenti bibliografici che non possono non essere menzionati.
Dalle informazioni reperibili dal Catasto grotte fino al prezioso lavoro della Commissione Eugenio Boegan, per non parlare dell’impegno della Società Adriatica di Speleologia, dell’Alpina delle Giulie e di molti altri attori protagonisti, la dimensione sotterranea del Carso rappresenta uno degli elementi estetici di maggior suggestione di questa terra di confine. Un’area che non finisce in territorio italiano. Tra le grotte più belle al mondo vi sono anche quelle slovene, a qualche chilometro dalla frontiera. Le grotte di San Canziano (Škocjanske jame in lingua originale) o la grotta di Vilenica, vengono considerate a pieno titolo parte di uno sviluppo ipogeo che ha il pregio di unire – più che di dividere – la passione degli speleologi italiani e sloveni. Molto tempo prima del triste periodo in cui la politica decise di erigere barriere, grottisti di lingua e cultura diverse lavoravano assieme lì sotto, per diffondere a 360 gradi la meraviglia di un mondo nascosto. Il visitatore proveniente da lontano ha l’obbligo di comprenderlo: negli abissi del Carso non vi è bandiera, nelle grotte di confine vi è più eguaglianza che in superficie.